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Presidente del consiglio comunale: i requisiti per dare sostanza al provvedimento di revoca

Necessario fare riferimento non al venir meno del rapporto di fiducia politica con la maggioranza, bensì al cattivo esercizio della funzione istituzionale

Presidente del consiglio comunale: i requisiti per dare sostanza al provvedimento di revoca

La delibera consiliare di revoca dalla carica di presidente del consiglio comunale deve essere concretamente motivata, però non sul venir meno del rapporto di fiducia politica con la maggioranza, bensì in relazione al cattivo esercizio della funzione istituzionale, legato alla persistente violazione dei doveri di ufficio nonché alla compromissione dellimparzialità della carica.
Questo il punto fermo fissato dai giudici (sentenza numero 7570 del 21 novembre 2025 del Tar Campania), i quali, chiamati a prendere in esame il contenzioso sorto nel Comune di Afragola, precisano che il vizio motivazionale della delibera di revoca del presidente del consiglio comunale non può ritenersi sanata richiamando stralci di dichiarazioni di voto rese dai consiglieri durante il dibattito, in assenza di contestualizzazione temporale e di riscontro documentale delle condotte asseritamente negligenti.
Analizzando lo specifico caso, è evidente, per i giudici,
il vizio di motivazione che affligge l’impugnata delibera consiliare.
Va premesso che, per comune avviso, il presidente del consiglio comunale è figura di carattere istituzionale e non politica, connotata dei requisiti della neutralità e terzietà, deputata ad assicurare il regolare svolgimento delle adunanze e deliberazioni consiliari. In particolare, la figura del presidente dell’organo consiliare è posta, dall’ordinamento degli enti locali, a garanzia del corretto funzionamento di detto organo e della corretta dialettica tra maggioranza e minoranza, per cui la revoca non può essere causata che dal cattivo esercizio della funzione, in quanto ne sia viziata la neutralità, e dev’essere motivata perciò con esclusivo riferimento a tale parametro e non ad un rapporto di fiduciarietà politica.
Dunque, la revoca della carica di presidente del consiglio comunale non può essere causata dal venir meno del rapporto di fiducia politica tra il titolare dell’organo e della maggioranza di governo che lo ha eletto, mentre può essere approvata dal consiglio comunale, quand’anche – come nel caso specifico – essa non sia contemplata dallo statuto, esclusivamente in ragione della persistente violazione dei doveri di ufficio, del cattivo esercizio della funzione istituzionale o, comunque, della compromissione dei profili di neutralità ed imparzialità tali da incrinarne il ruolo di garanzia del presidente del consiglio comunale.
Nei casi in cui siffatta revoca sia stata approvata dall’organo consiliare, il giudice amministrativo è chiamato, innanzitutto, ad accertare l’effettiva sussistenza dei fatti, affinché la revoca non si fondi su presupposti inesistenti o non adeguatamente esternati nel provvedimento, e, poi, ad apprezzare – entro i limiti puramente estrinseci della non macroscopica irragionevolezza ed ingiustizia della decisione – la non arbitrarietà della valutazione politica in forza della quale l’organo consiliare ritiene che i fatti influiscano anzidetti negativamente sull’idoneità a ricoprire la funzione.
Resta sindacabile, pertanto, non il giudizio, più o meno politico, espresso dal consiglio comunale, quanto piuttosto il mancato riscontro, nei fatti, delle censure sollevate nella proposta di revoca. Ne deriva che la revoca può ritenersi legittima solo se, sulla base di fatti ben precisi addotti a presupposto della decisione di rimuovere il presidente stesso la cui sussistenza deve essere accertata dal giudice, sia dimostrata la inidoneità del titolare della carica a svolgere la relativa funzione per il venir meno della sua neutralità e della correttezza del comportamento istituzionale.
Ciò posto, nella specifica vicenda, come condivisibilmente posto in risalto dal presidente sfiduciato, nella parte motiva della delibera impugnata le condotte poste a fondamento della sfiducia, per un verso sono enucleate solo in via astratta, senza alcun riferimento a fatti concreti e specifici, dall’altro non sono neanche comprovate in fatto, cioè non risultano rappresentati, in altri termini, nella motivazione dell’atto gravato, comportamenti o episodi, supportati in fatto, oggettivamente espressivi di un reiterato mal governo della medesima funzione istituzionale e ascrivibili all’attività del presidente del consiglio comunale in quanto tale. Difatti, viene in rilievo, nel corpo della motivazione della delibera, soltanto l’evocazione di comportamenti genericamente descritti e imputati al presidente, carenti, tuttavia, di qualsiasi contestualizzazione sul piano temporale e documentale, formulati dai componenti del consiglio nel dibattito politico, come, ad esempio, la mancanza di un comportamento super partes.
Né, d’altronde, considerato il rilievo istituzionale della figura, siffatto deficit della motivazione può ritenersi sanato, secondo i giudici, diversamente da quanto opinato dal Comune, richiamando stralci del dibattito consiliare, in particolare le dichiarazioni di alcuni consiglieri di opposizione con le quali, oltre al severo giudizio sul piano politico espresso nei confronti del presidente, ne vengono indicate, senza fornire riscontri documentali, condotte asseritamente negligenti afferenti, in particolare, alla calendarizzazione dei consigli comunali (in tesi, sulla base dei soli oggetti di delibera, senza mettere a disposizione della conferenza dei capigruppo, cioè, gli atti da votare, o ancora alla calendarizzazione con atti privi del parere delle competenti commissioni consiliari).
Trattasi di enunciazioni critiche alle quali non si accompagna alcuna circostanziata contestazione della violazione di norme o disposizioni comunali, da reputarsi insufficienti, spiegano i giudici, ad integrare uno standard motivazionale idoneo a sorreggere l’atto, siccome non soltanto inestricabilmente intrecciate a valutazioni di matrice eminentemente politica, come del resto esplicitamente riconosciuto ma, soprattutto, insuscettibili di consentire l’enucleazione di precise e ben individuate condotte idonee a integrare quei reiterati comportamenti tipicamente compromissori della neutralità, della imparzialità e della terzietà della carica istituzionale in questione, sufficienti per ritenerne irrimediabilmente inficiata la funzione di garanzia.

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